A due anni dalla nascita di Italia Nostra, fu costituita in data 26 aprile 1957 la sezione di Torino.
Erano allora presenti personaggi quali Marziano Bernardi e Valdo Fusi.
Uno dei primi Presidenti fu il prof. Giovanni Getto, cui seguirono, tra gli altri, il prof. arch. Giampiero Vigliano (a cavallo dell’anno 1976), l’arch. Cesare Volpiano (1977-79), l’arch. Donatella d’Angelo (1980-83), Giovanni Arpino (1984-86), il prof. Paolo Durio (1987-95), l’arch. Roberto Lombardi (1996-2008).
Dal 2008 il Presidente della sezione di Torino è il dott. Roberto Gnavi.
Il 14 febbraio 2017 presso la sede della Sezione di Torino, si è tenuta l’Assemblea annuale dei Soci che ha nominato il Consiglio Direttivo per il triennio 2017-2019. Sono stati eletti:
– Clara Palmas
– Roberto Gnavi
– Luciano Nebbia
– Caterina Ceresa
– Maria Teresa Roli
– Maurizio Cassetti
– Anna Gilibert
E’ stata eletta Rappresentante dei Soci presso il Consiglio regionale Piemonte di Italia Nostra Maria Lo Vecchio.
Lo stesso 14 febbraio 2017 nella prima riunione del nuovo Consiglio, che aveva all’ordine del giorno l’elezione degli organi responsabili, sono stati nominati:
Presidente: Roberto Gnavi
Vice presidenti: Maria Teresa Roli e Clara Palmas
Segretario: Anna Gilibert
Tesoriere: Luciano Nebbia
……… A Torino ci troviamo in una situazione particolare, esasperante per la mistificazione che vi si intreccia. C’è un opinione diffusa, sia fra torinesi sia fra i visitatori, che l’aspetto della città sia molto migliorato, e che questo sia largamente dovuto ad una buona conduzione urbanistica.
Vediamo sì che l’aspetto del centro storico è molto migliorato, con le nostre belle piazze finalmente sgombre di auto, vediamo una piacevole animazione, vediamo turisti ammirati, e certo il grande viale della Spina Centrale che si è sviluppato al di sopra del passante ferroviario col suo ampio alveo e nonostante la freddezza di certe strutture aggiunge rinfrescante spazialità al già magnifico sistema dei nostri grandi viali.
Ma tutto questo indiscutibile miglioramento nelle parti storiche della città si accompagna purtroppo a grossi errori in ampie porzioni periferiche e soprattutto a stravolgimenti che cominciano a prendere forma nel cuore stesso della città, come i grattacieli di corso Vittorio, o che si sta meditando di mettere in opera nel luogo forse più amato della città, il Po presso piazza Vittorio, o nel compromettere la preziosa funzione ferroviaria e l’ariosità di spazi dell’area di Porta Nuova.
Come riteniamo di poter dimostrare a chi sia disposto a riflettere con calma sui fatti, Torino appare per ora molto migliorata perché in centro finalmente ripulita è tornata la bellissima città di un tempo poi abbrutita da guerra e dopoguerra, e poi perché si è approfittato di una linea ferroviaria subcentrale che sembrava fatta apposta per farsi coprire da un bel viale, ma accanto a questo copione felicemente ovvio contemporaneamente con euforia provinciale si tirava su l’ingombrante grattacielo San Paolo, si commettevano grossi errori in periferia e si preparavano errori più disastrosi in centro, quelli che ora possiamo e dobbiamo scongiurare.
Bisogna riflettere su quanto sia stato fatto male non tanto per dare addosso ai responsabili, almeno a Torino piuttosto vittime della vanità, della pigrizia e della fretta, che non collegabili con interessi non limpidi, ma per capire la facilità con cui si generano, nella progettazione urbana, e nella tutela degli ambienti storici e del paesaggio, indirizzi disastrosi, e quanto sia necessaria una sorveglianza di tutta la collettività su queste scelte, a cominciare dalla preliminare rivendicazione di una informazione adeguata fin dalle prime fasi di ciascun processo decisionale.
Il grattacielo Intesa San Paolo, questo grande intruso nel panorama delle Alpi, l’”ammiraglia” degli errori consumati a Torino.
Il cosiddetto “Parco della Dora” in cui, avendo scoperto il costo altissimo che avrebbe avuto una bonifica integrale dei suoli delle fabbriche dismesse, si è preferito lasciare intatta la quasi totalità delle piattaforme di cemento dei capannoni, e professare un prima poco evidente culto per la “memoria storica”, tirando fuori, fra l’altro con fortissime spese un “parco postindustriale”. magari interessante, ma disperatamente poco accogliente.
Il “fu” piacevole parco di Piazza d’Armi su corso Sebastopoli, spazzato via con quasi tutti i suoi alberi per far posto alla gelida piastra della “Piazza Olimpica”
La distruzione di metà delle ottocentesche officine ferroviarie OGR, di grande presenza scenografica oltre al valore storico, per far posto ad un raddoppio del Politecnico che avrebbe potuto utilizzare e reinterpretare questi edifici.
Il “Palafuksas” di Porta Palazzo, questo non benvenuto parto di archistar.
La mutilazione irreversibile del piccolo bellissimo parco del Giardino Sambuy davanti a Porta Nuova, per condurre in economia i lavori della metropolitana
La distruzione di piccoli fabbricati industriali e abitativi sette-ottocenteschi lungo la Dora, a monte di via Cigna e lungo via Pianezza, piccole costruzioni inframezzate di verde, già quasi piccoli parchi bisognosi solo di una ripulita.
La “veranda” del seicentesco Palazzo Bricherasio, in via Lagrange.
E altro….
Rievocare questi errori non è accanimento moralistico, serve per capire e vegliare sul futuro. Destinati a goderci il grattacielo Intesa San Paolo che ingentilisce lo skyline di Torino e il panorama delle Alpi, cerchiamo almeno di proteggere qualcosa di ancora più importante, l’incomparabile affaccio sul Po di piazza Vittorio e della Gran Madre, e di opporci al ventaglio di altre minacce che si delinea.
La nuova amministrazione cittadina, insediatasi da due anni (scriviamo a metà 2018) con dichiarazioni di intenti e valutazioni degli errori passati e dei nefasti progetti largamente coincidente con le nostre posizioni, sembra ora paralizzata, certo pur davanti a oggettive difficoltà economiche, dalla paura di trovarsi costretta a disastrosi risarcimenti se annulla progetti varati dalla amministrazione precedente.
Non solo, crede di essere costretta, per puntellare il bilancio, a perpetuare la politica di acquisizione di risorse vendendo o concedendo a lunghissimo termine beni comunali anche di grande valore storico e ambientale, e permettendo edificabilità supplementare per incassare i cosiddetti oneri di urbanizzazione.
E’ stata per fortuna scongiurata la privatizzazione del parco Michelotti, ex zoo, per farne un cosiddetto parco tematico-educativo, che anche eventualmente creato e gestito coi migliori criteri avrebbe escluso dalla fruizione pubblica un parco in uno degli ambiti più preziosi della città che solo decenni di confusione e negligenza avevano potuto quasi far dimenticare ai torinesi, e su cui si era artatamente costruita la leggenda di costi di ripristino insostenibili.
Ma incombono altre grosse trasformazioni infelici:
Un secondo grattacielo all’angolo di corso Vittorio, dirimpetto a quello Intesa-San Paolo, che renderebbe ancora più grossolana la massa visiva nel panorama delle Alpi.
La parziale cementificazione dei giardini comunali di corso Vittorio fronteggianti la “cittadella giudiziaria”, all’angolo con via Borsellino, con un supermercato.
La saturazione edilizia delle residue aree di trasformazione postindustriale, la rinuncia ad una valorizzazione ambientale tutt’altro che utopica.
L’edificazione di vasti spazi lungo le aree ferroviarie, che ben altrimenti potrebbero migliorare la qualità ambientale della città.
E le pratiche inquietanti, l’utilizzo del parco del Valentino per iniziative puramente commerciali, salone dell’auto, o anche di connotazione meritevole, come Terra Madre, ma in ogni caso assurdamente invasive per tempi lunghissimi, tra evento effettivo, preparazione e smontaggio oltre un mese ciascuna, sottraendo alla popolazione ed al turismo rispettoso la fruizione del parco nella stagione migliore.
Non meglio vanno le cose nella cosiddetta area metropolitana di Torino, sia in pianura sia in montagna, ferita la montagna da vistose deformazioni per le Olimpiadi, quasi tutte non indispensabili, crivellata la pianura dal dilagare delle espansioni delle aree edificabili, con invasione di suoli agricoli, pur in presenza di un immenso assortimento di aree industriali abbandonate.
Italia Nostra-Torino che in tutti questi anni ha lottato contro i progetti che riteneva dannosi, con la grande difficoltà di farsi sentire per limitatissima udienza presso i mezzi di comunicazione, chiede a tutti di aiutarla a comunicare al pubblico le sue riflessioni su come evitare certi guai.
Pur anche con un po’ di testarda speranza di convincere i giornali e il Comune stesso a dare alle opinioni dissenzienti un respiro adeguato di diffusione pubblica, Italia Nostra-Torino cercherà comunque di potenziare il suo contatto diretto col pubblico. E naturalmente deve ulteriormente sviluppare la sua captazione di informazioni sulle situazioni e sui problemi, e la sua potenzialità di istruire studi e documentazioni adeguate ad informare il pubblico e far riflettere gli organi decisori.
Per fare questo abbiamo bisogno di voi. E’ prezioso chi si associa e chi ci sostiene, servono i cervelli e anche le braccia di chi sia in grado di dare un contributo attivo.